Filosofia

**Premetto sempre che quanto scritto sotto è una ricopiatura dei miei appunti di liceo. Chi scrive è una studentessa che cerca di riassumere, rianalizzare i concetti principali del programma di filosofia del 5 anno per prepararsi al meglio per gli esami di maturità. Non mancano le mie libere interpretazioni sopratutto nei punti più nodosi. Ricordo inoltre che i testi che oggi ho deciso di mettere a disposizione non erano destinati ad un  pubblico, ma ad un uso prettamente personale. Mi scuso dunque spesso troverete forme abbreviate, e un italiano non sempre corretto. Spero comunque che nonostante gli inconvenienti quanto segue possa esservi un minimo utile.*/

KANT

Kant è una delle figure più importanti della filosofia a cavallo fra il romanticismo e l’illuminismo. Attraverso un’analisi precisa ed accurata dei limiti della conoscenza, dell’azione e del giudizio, basandosi sulla centralità dell’uomo e ponendo la ragione come fondamento di ogni indagine, egli arriverà da un lato a dimostrare che la metafisica (un tempo considerata regina di tutte le scienze) non è una scienza, da un altro risolverà un volta per tutte il problema della fisica teorica “superando” Locke, Hume e tutti i filosofi precedenti.
  • Locke problemi = no intelletto tabula rasa, no coincidenza piano dell’essere e piano del pensiero, no sost semplici e complesse, no l’intelletto è in grado di percepire passivamente solo le semplici, no l’esperienza ha solo compito di unificare le sost (idee) semplici in complesse. (es polpa+buccia+frutto=mela), triplo esito metafisico. 1 esperienza fuori da noi, pretesa di unificare la scienza 2 sostanza rimane ente metafisico, perche nella realtà non incontro mai l’ente, 3 problema dell’io intelletto no passivo, è passivo qnd intuisce è attivo qnd dimostra.
  • Hume problemi = no scetticismo scientifico, no esperienza non in grado di fondare la piena validità della conoscenza la quale nei suoi limiti e solo probabile, no principio abitudine no somiglianza.
Kant - filosofie precedenti - illuminismo
Kant viene impropriamente presentato come punto di confluenza fra le due correnti razionalistica ed empiristica. Questa interpretazione utile da un punto di vista didattico si presta però a gravi malintesi. Il razionalismo e l’empirismo infatti non possono e non devono essere considerati come due movimenti antitetici, (basti pensare all’istanze razionaliste presenti in Locke). Più esatto sarebbe mettere in evidenza il legame di Kant con la problematica filosofica- scientifica precedente. Il filosofo accoglie l’esigenza dei metodi matematici e sperimentali e in questo si riallaccia direttamente al pensiero di galileo, che all’inizio dell’età moderna proclamò l’accordo fra la matematica e l’esperimento come condizione indispensabile al progresso della scienza. Galileo cercò di ideare una tecnica che dimostrasse operativamente possibile tale accordo, lasciò tuttavia ai posteri il difficile compito di giustificarlo sul piano filosofico. Questa giustificazione è il cuore della problematica filosofica kantiana. In relazione agli interessi scientifici soprattutto in campo fisico ed astronomico (tentativo di offrire tesi sull’origine dell’universo Kant) è considerato inoltre l’equivalente di newton in filosofia.
Kant dedicherà interamente la sua vita alla filosofia e nonostante egli viva a cavallo di due secoli 700 e 800 ambasciatori di due espressioni culturali distinte, l’illuminismo e il romanticismo, Kant si fonderà il suo pensiero su basi illuministiche. Nel saggio cos’è illuminismo egli chiarisce il suo rapporto rispetto tale corrente. Da un lato il filosofo prende le distanze dai limiti dogmatici dell’illuminismo, da un altro condivide l’espressione della ragione come strumento di conoscenza, unico mezzo per uscire della condizione di minorità.
Dissertazione
Scritta nel 1770 la dissertatio è considerato lo scritto di passaggio fra il primo e il secondo periodo di stesura delle opere kantiane. Essa segna la soluzione critica del problema dello spazio e del tempo partendo dall’analisi dei due diversi ed eterogenei piani della conoscenza.
  • Conoscenza sensibile = cioè l’apparenza, dovuta alla ricettività (o passività) del soggetto, che ha per oggetto il fenomeno, cioè la cosa come appare nella sua relazione al soggetto. Nella conoscenza sensibile si deve distinguere la materia dalla forma. La materia è la sensazione ovvero una modificazione dell’organo di senso che perciò testimonia la presenza dell’oggetto che l’ha generata. La forma è legge, indipendente dalla soggettività, ordina la materia sensibile ed è costituita dallo spazio e dal tempo. Spazio e tempo sono intuizioni pure che precedono ogni conoscenza sensibile e che sono indipendenti da essa.
  • Conoscenza intellegibile = è una facoltà del soggetto che ha come oggetto il noumeno cioè la cosa così come essa è nella sua natura intellegibile, ciò che  è pensabile ma non conoscibile, l’oggetto delle mie attese metafisiche ma non della mia conoscenza. Da ciò ricaviamo un caposaldo della filosofia kantiana: il filosofo non si occupa delle cose come esse sono, bensì come appaiono nell’esperienza.
  • Esperienza = conoscenza riflessa che nasce dal confronto operato dal intelletto di molteplici apparenze.
Già con la dissertatio Kant affronta temi spinosi attaccando e posizioni empiristiche e razionalistiche. Già contro Locke la dissertatio rifiuta l’esperienza come realtà oggettiva e mette in evidenza la necessità di una scansione spazio temporale. Di Hume pur rifiutando la sua posizione scettica kant dirà che egli lo sveglia dal sonno dogmatico portandolo a considerare la distinzione fra ciò che posso conoscere (fenomeno=oggetto della scienza) e ciò che non posso conoscere, neoumeno.

Problema della dissertatio = come faccio a collegare piano conoscenza sensibile con quello della conoscenza intellegibile? Come la materia sensibile arriva a costruire giudizi? Come è possibile considerare la presenza della materia dentro il concetto?
Per rispondere a tali domande kant impiegherà 11 anni più 6. un  tempo di maturazione sufficiente se si considera il percorso affrontata da Kant il quale si muove contemporaneamente su un piano gnoseologico e su un piano ermeneutico, costruendo e interpretando. È il primo filosofo della storia che adotta tale sistema di analisi, e in questo Kant è veramente rivoluzionario al punto che lo si può considerare un Aristotele o un Platone dell’età moderna.

Il criticismo e la filosofia del limite
Il criticismo è quella porzione del pensiero di Kant che fa della critica uno strumento di indagine filosofica. La critica è quell’atteggiamento filosofico che consiste sull’interrogarsi programmaticamente circa i fondamenti di determinate esperienze umane ai fini di chiarirne: 
  • La possibilità: ovvero le condizioni che permettono l’esistenza
  • La validità: i titoli di legittimità o non - legittimità che le caratterizzano
  • I limiti: i loro confini di validità. Non a caso si parla di filosofia del limite. Abbagnano definì tutto  il criticismo l’ermeneutica della finitudine.  Riguardo poi il concetto di filosofia del finito è bene precisare che kant non mancherà di dedicarsi anche all’ambito dell’infinito filosofico. Nella critica alla ragion pratica analizzando il rapporto fra ragione e libertà per esempio. 
Il criticismo kantiano si esaurisce principalmente in tre opere: la critica alla ragion pura, pratica e del giudizio. Esso esprime perfettamente la tendenza del filosofo di allontanare da se il dogmatismo (modello della conoscenza trascendentale es idee platoniche che trascendono dal mondo empirico) e lo scetticismo scientifico (condivide invece quello metafisico) ed ha in se due valenze: da un lato attraverso l’analisi delle condizioni della conoscenza attacca direttamente la metafisica che cadendo dal trono su cui sedeva da tempo, è  ora accettata solo nei suoi limiti. Da un altro ha valore di progetto filosofico per cui Kant analizza l’iter conoscitivo attraverso il quale il soggetto, o meglio le strutture recettive passive del soggetto, afferrano gli oggetti della conoscenza, i fenomeni.

Quando Kant intraprende il percorso filosofico che lo condurrà alla stesura delle tre critiche, egli ha due problemi da risolvere. Il primo più serio è quello di dimostrare il rapporto sensibile intellegibile. Il secondo non meno importante è quello di oggettivare l’attività dell’intelletto tenendo conto del fatto che la ragione dell’uomo, anche se non è priva di aspettative metafisiche quando essa si applica ai suoi oggetti, i fenomeni, è costretta ad abbandonare la metafisica per porre le condizioni della conoscenza sensibile che è finita appunto perche riguarda il mondo finito dei fenomeni.

CRITICA ALLA RAGION PURA
La critica alla ragion pura è sostanzialmente un’analisi critica dei fondamenti del sapere. La critica consta di una fase destruens entro la quale essa determina i limiti della ragione, una costruens dal momento che la ricerca e l’accettazione di questi limiti coincide con la norma cha dà legittimità e fondamento alle varie facoltà umane.
 Essa è critica alla ragione in quanto la ragione è messa in giudizio da se stessa nelle sue condizioni attuative e nei suoi limiti.
È pura perche la critica riguarda solo la strutture fenomeniche -trascendentali della ragione  che prescindono dall’esperienza.
 Come se volessimo cogliere la ragione nell’atto immediatamente precedente rispetto alla conoscenza.

Per conoscenza trascendentale intendiamo ogni conoscenza che si occupi in generale non tanto di oggetti quanto di concetti a priori degli oggetti, in altri termini non di oggetti ma del modo, attraverso cui noi conosciamo gli oggetti, vale a dire l’insieme delle condizioni che rendono possibile l’esperienza.
 Ricordando sempre che per conoscenza intendiamo la conoscenza della realtà fenomenica.

La ricerca di kant prende la forma concreta di uno studio teso a stabilire da un lato come siano possibili la matematica e la fisica in quanto scienze, da un altro come sia possibile la metafisica nel suo valore di scienza e di disposizione naturale. Da quanto detto seguono le quattro domande fondamentali su cui si fonda la critica alla ragion pura:
  1. come è possibile la matematica pura? (estetica trascendentale)
  2. com’è possibile la fisica pura?
  3. com’è possibile la metafisica in quanto naturale disposizione dell’essere?
  4. com’è possibile la metafisica come scienza?

La critica alla ragion pura si apre con un’ipotesi gnoseologica di fondo. Kant scrive: Benché ogni conoscenza cominci dall’esperienza ciò non significa necessariamente che la conoscenza stessa derivi interamente dall’esperienza. Tale ipotesi è convalidata dalla presenza dei giudizi sintetici a priori.
La scienza pur derivando in parte dall’esperienza, pur nutrendosi continuamente di essa, si fonda su alcuni principi immutabili, verità universali e necessarie, che quindi prescindono dall’esperienza e si dicono a priori per il loro carattere universale e necessario.
Sono giudizi perche consistono nell’aggiunta di un predicato al soggetto e sono sintetici perche tale predicato dice qualcosa di nuovo rispetto al soggetto.

I giudizi sintetici a priori di matrice kantiana si differenziano, in quanto estensivi del sapere, e dai giudizi analitici a priori e dai giudizi sintetici a posteriori.
I giudizi analitici a priori (i corpi sono estesi) sono infatti a differenza dei sintetici, pur essendo anch’essi di carattere universale nel loro essere a priori, risultano infecondi perché il predicato in essi non aggiunge nella di nuovo rispetto il soggetto. Essi rappresentano la concezione razionalistica e quindi deduttivista della scienza e conducono al dogmatismo perche non sono in grdo di garantire il carattere estensivo della materia. I giudizi sintetici a posteriori (i corpi sono pesanti) sono viceversa fecondi, estensivi del sapere poiché il predicato aggiunge concetti al soggetto, tuttavia derivando dall’esperienza sono contemporaneamente particolari e non universali. Essi simboleggiano la concezione empiristica (induttivistica) della scienza e conducono allo scetticismo che pur garantendo l’estensione della conoscenza non si basa su alcun criterio di verità.  

Riassumendo kant con i giudizi sintetici a priori da un lato va contro il razionalismo affermando che la scienza derivi dall’esperienza, da un altro va contro l’empirismo dicendo che comunque alla base della scienza vi siamo dei principi immutabili e universali imprescindibili dall’esperienza stessa.

Dopo aver dimostrato che i giudizi rappresentano la spina dorsale della scienza kant si trova davanti il problema di spiegare la provenienza di quest’ultimi. Se non derivano dall’esperienza da dove derivano i giudizi sintetici a priori? Come è garantito il loro carattere universale?
Per spiegare il carattere necessario dei giudizi e per stabilire la loro provenienza kant ricorre a una nuova teoria della conoscenza concepita come sintesi di materia e di forma, ossia di elemento a priori e uno a posteriori.

Per materia (elemento empirico a posteriori) il filosofo intende il contenuto, il determinabile generale, ovvero la molteplicità caotica  e mutabile delle impressioni sensibili che provengono dall’esperienza.

Per forma (elemento razionalistico a priori) kant intende la determinazione del determinabile ovvero l’insieme delle modalità fisse attraverso cui la mente ordina, secondo determinate relazioni la materia sensibile.

 È alla nostra mente che spetta il compito di filtrare attivamente i dati empirici attraverso le forme innate che garintiscono la conoscenza e sono comuni a ogni soggetto pensante. Ritorna a questo punto il concetto di trascendentale per cui le condizioni di legittimazione della conoscenza risiedono nella trascendentalità del soggetto che ha in se le qualità, gli strumenti, le forme innate, gli schemi a priori per ricevere ovvero percepire la materia e per pensare attraverso i concetti la realtà.

 Di conseguenza potremmo anche scrivere che non è necessario fare esperienza per conoscere, basta pensare perche le condizioni perché avvenga l’atto della conoscenza risiedono dentro la mente dell’uomo.
 Volendo fare un esempio per fissare il significato di quanto detto potremmo immaginare la mente kantiana come un vero e proprio computer che riesce a elaborare un gran numero di informazioni (impressioni sensibili) provenienti dall’esterno solo grazie alla sua struttura interna composta da una serie di programmi fissi, immutabili schemi di ricezione (forme a priori). 

Questo ribaltamento del rapporto fra soggetto e oggetto prende il nome di rivoluzione copernicana kantiana. Come copernico aveva ribaltato i rapporti fra lo spettatore e le stelle kant ribalta per spiegare la scienza i rapporti fra sogg e ogg, intesi non alla maniera cartesiana di res cogitans ed extensa. Al contrario fra sogg ed ogg esiste un rapporto di interpretazione strutturazione cui se l’oggetto inteso come realtà fenomenica è il contenuto della scienza, il soggetto è l’organo ricettivo dei concetti che costruiscono la conoscenza.

 Non è più la mente dell’uomo che si modella passivamente sulla realtà, bensì la realtà che si modella sulle forme a priori attraverso cui noi la percepiamo.

 La rivoluzione copernicana approda inoltre alla distinzione fra il fenomeno e la cosa in se e per se. Il fenomeno è la realtà che ci appare come la nostra mente la percepisce. La cosa in se è indipendente dall’esperienza e dal soggetto, risulta quindi come un’incognita inconoscibile ma indispensabili ai fini della conoscenza.

Soffermandosi sul ruolo della soggettività kant procede nella critica alla ragion pura nell’articolare tre diverse facoltà della mente umana.
1.       la sensibilità con la quale il soggetto attraverso i sensi e le forme a priori di tempo e spazio intuisce e riceve gli oggetti.
2.       l’intelletto con il quale il soggetto pensa i dati sentibili attraverso le categorie o concetti puri.
3.       la ragione con la quale il soggetto andando oltre l’esperienza cerca di spiegare globalmente la realtà mediante le tre idee di anima, mondo e dio.

Su questa tripartizione delle facoltà conoscitive si basa tutta la critica della ragion pura. Che si divide infatti  in due tronconi principali: la dottrina degli elementi che studia le forme a priori, e la dottrina del metodo che studia appunto il metodo della conoscenza. La dottrina degli elementi comprende da un lato l’estetica trascendentale che è incentrata sulla sensibilità e le sue forme a priori (spazio, tempo), da un altro la logica trascendentale che studia il pensiero discorsivo dividendosi in analitica (che studia l’intelletto e le sue forme  a priori =categorie) e in dialettica (studia la ragione e le sue forme a priori =idee).

Ancora una volta torna il termine trascendentale il cui concetto è legato a quello della forma a priori, che non esprime un proprietà ontologica della realtà in se, ma solo un condizione gnoseologica, che rende possibile la conoscenza della realtà fenomenica. Trascendente non significa che va oltre l’esperienza ma che la precede, rendendo possibile la conoscenza della stessa.

ESTETICA TRASCENDENTALE
Il termine estetica viene utilizzato da kant nel significato di scienza di tutti i principi a priori della sensibilità. Per sensibilità intendiamo quella struttura passivo recettiva mediante la quale gli oggetti, il materiale delle sensazioni (=intuizioni empiriche) vengono percepite e contemporaneamente organizzate attraverso i sensi in modo immediato ed intuitivo dal soggetto che quindi non intervien in questa fase nell’elaborazione di della materia sensibile ricevuta. Le forme a priori (=intuizioni pure in quanto prive di contenuto empirico) della sensibilità sono lo spazio ed il tempo. Quest’ultime verranno utilizzate da kant per rispondere alla prima domanda delle quattro di base di tutto il criticismo, ovvero quella inerente la matematica. Possono l’aritmetica e la geometria esser considerate delle scienze pure?

Lo spazio è la forma del senso esterno cioè la rappresentazione a priori  necessaria che sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne, il tempo quella del senso interno, cioè la rappresentazione a priori necessaria che sta a fondamento di tutti i nostri stati interni e del loro disporsi secondo un ordine di successione interno. Rispetto allo spazio il tempo tuttavia assume un carattere di priorità diventando la maniera universale attraverso cui percepiamo tutti gli oggetti; infatti se non è possibile affermare che ogni cosa è collocata in uno spazio (es sentimenti) al contrario è possibile dire che ogni cosa è scandita nel tempo.

L’apriorità del tempo e dello spazio viene dimostrata e approfondita da kant in un primo momento nell’esposizione metafisica, in un secondo nell’esposizione trascendentale.    
Esposizione metafisica
Nell’esposizione metafisica kant rispetto allo spazio e al tempo confuterà alcune posizioni di filosofi che lo hanno preceduto in particolare:
  • locke: di cui attacca la visione empiristica, che considerava s e t come nozioni tratte dall’esperienza. Kant sostiene che s e t non possono derivare dall’esperienza perche per fare un’esperienza qualsiasi abbiamo comunque bisogno di presupporre le rappresentazioni originarie di tempo e di spazio.
  • Newton: di cui attacca la visione oggettivistica, che considerava s e t come entità a se stanti, contenitori vuoti, entità ontologiche. Se fossero veramente vuoti dovrebbero continuare ad esistere anche senza contenuti, ma come è possibile concepire qualcosa di reale che non contenga al suo interno una qualsiasi entità altrettanto reale. La realtà vuota non esiste. In effetti scriverà kant s e t pur essendo ideali e soggettivi rispetto alle cose in se  stesse, essi sono tuttavia reali e oggetti rispetto all’esperienza. Si parlerà allora di idealità trascendentale e realtà empirica dello spazio e del tempo.
  • Libniz: di cui attacca la visione concettualistica, che considerava s e t come concetti che esprimevano i rapporti fra le cose. S e t non possono essere considerati concetti in quanto essi hanno una struttura intuitiva e non discorsiva. 
Esposizione trascendentale
Nell’esposizione trascendentale attraverso alcune considerazioni epistemologiche sulle matematiche riuscirà a dimostrare non solo l’apriorità di s e t, come obbiettivo primo, ma anche il carattere a priori e sintetico della geometria e dell’aritmetica. Anche la matematica infatti è una scienza sintetica e non analitica perche amplia le nostre conoscenze (ad esmpio della proposizione 5 + 7 = 12, al dodici non si arriva per via analitica, per attraverso il calcolo della somma) a priori (in quanto indipendente dall’esperienza basata sull’intuizioni di s e t. perche?  
La geometria è la scienza che dimostra sinteticamente a priori le proprietà delle figure mediante l’intuizione pura di spazio. La conoscenza del raggio come entità geometrica minore del diametro di una circonferenza prescinde dall’esperienza del mondo esterno, allo stesso modo l’aritmetica determina sinteticamente le proprietà delle serie numeriche basandosi sull’intuizione pura di tempo e di successione, senza la quale lo stesso concetto di numero non sarebbe mai sorto.

ANALITICA TRASCENDENTALE
La critica alla ragion pura come sappiamo è ripartita in due parti, la dottrina degli elementi e la dottrina del metodo. All’interno della dottrina degli elementi è possibile fare un’ulteriore divisione fra l’estetica trascendentale e la logica trascendentale.
L’estetica trascendentale studia la sensibilità e le sue forme a priori (spazio e tempo); la logica invece si occupa di studiare il pensiero discorsivo ricercando l’origine, le’estensione e la validità oggettiva delle conoscenze a priori proprie dell’intelletto  nell’analitica trascendentale e della ragione nella dialettica trascendentale.

Attraverso l’analitica trascendentale saremo in grado di rispondere alla seconda delle domande che stanno alla base del pensiero kantiano quella inerente alla fisica, mentre attraverso la dialettica risponderemo alla 3 e alla 4 che riguardano la metafisica.

Kant inizia il suo percorso proprio da Aristotele che fu il primo a parlare di concetti puri come categorie e da un presupposto di base: Le forme del pensiero non sono indipendenti dall’intuizione da cui colgono il proprio materiale, i concetti senza intuizioni sono vuoti e le intuizioni senza concetti sono cieche.
Secondo kant esistono due tipologie di concetti, quelli empirici che sono costruiti con i materiali che provengono dall’esperienza, e quelli puri, che sono contenuti a priori nell’intelletto.  I concetti puri kantiani si identificano per certi versi con le categorie aristoteliche in quanto essi sono le supreme funzioni unificatrici dell’intelletto, i predicati primi, a differenza di Aristotele kant pone i concetti puri in un piano esclusivamente gnoseologico- trascendentale. In altre parole kant non studia le categorie nel loro valore in se e per se ma nel loro rapporto con il fenomeno, egli studia la maniera con cui l’intelletto riesce a usare le categorie per elaborare il molteplice unificandolo. Le categorie sono semplici leges entis et mentis, regole attraverso cui l’intelletto opera. Quel’è l’attività dell’intelletto?
Esso sussume, ovvero ordina secondo una regola una quota dell’esperienza sensibile. Tale regola è la categoria che mi permette di costruire i giudizi sintetici.

Stabilità la nozione di categoria kant passa, muovendosi sempre secondo un approccio metodologico, a redigere una tavola completa delle categorie. A differenza di Aristotele che era riuscito ad individuare solo 8 categorie d’analisi, operando secondo il parere di kant in maniera confusa e disorganica, kant stesso parla di 12 categorie d’analisi. Partendo dall’equazione che pensare = giudicare e giudicare significa a sua volta attribuire un predicato ad un soggetto, il filosofo sostiene che ci saranno tante categorie (cioè tanti predicati primi) quante saranno le modalità di giudizio ( ovvero le maniere fondamentali attraverso cui l’intelletto attribuisce un predicato a un soggetto). Le 12 categorie partono cmq dalle 4 di matrice aristotelica: quantità, qualità, relazione, modalità.

Le categorie più importanti sono quelle della causalità e della sostanzialità che sono il fondamento ultimo della fisica pura, cioè della fisica quale scienza razionale.

La deduzione trascendentale
Formulata la tavola delle categorie kant si pone il problema di giustificare la loro validità e il loro uso. Kant usa il termine deduzione nel suo significato giuridico. Le categorie esistono perche sono utilizzate dall’intelletto che ha il diritto di utilizzarle. Il termine deduzione implica il passaggio dall’uso alla legittimazione dell’uso stesso. Kant riconosce l’uso e lo leggitima con lo stesso.

A questo punto del percorso filosofico kantiano cominciano a evidenziarsi una serie di problemi, di nodi che kant cerca di risolvere più o meno positivamente tentando di sfuggire al baratro della metafisica.

I problemi della deduzione trascendentale sono sostanzialmente due.
1.       problema unità = attività della sussunzione operata dall’intelletto mediante le categorie ha carattere sintetico, quindi l’intelletto non è un contenitore ontologico. Tuttavia esso non mi offre una visione completa della sintesi, una visione unitaria del mondo, poiche quando sussume si riferisce solo a una quota dell’esperienza sensibile e in più ciascuna categoria summume secondo una diversa regola. Quando afferma l’intelletto contemporaneamente nega. Se penso una cosa, non posso pensarne il contrario.
2.       passaggio sensibile- intellegibile = kant abbatte il muro precedentemente eretto far la conoscenza sensibile e la conoscenza intellegibile ma non spiega come l’intelletto riesce a intervenire sulla sensibilità ordinandone delle quote partendo dalla categorie, dai concetti puri. Che cosa ci garantisce che la natura obbedirà alle categorie, manifestandosi nell’esperienza secondo le nostre maniere di pensarla. E le regole usate per la sussunzione da dove provengono?
Kant cerca di rispondere a questi interrogativi e la sua risposta può esser articolata nei seguenti punti:
  1. per giustificare il problema dell’unità della scienza egli ribadisce che l’unificazione del molteplice che caratterizza il mondo sensibile è un attività sintetica a cui l’intelletto è destinato.
  2. per spiegare il salto operato dall’intelletto durante il processo della sussunzione fra il piano sensibile e quello intellegibile kant parla di una struttura formale del sapere che da un lato fornisce all’intelletto le regole per sussumere da un altro non può essere a sua volta regolata da delle regole, quindi non deve essere una categoria, perche altrimenti avrebbe contenuti e perderebbe il suo carattere formale. Tale struttura è l’io penso.
L’io penso = è l’autocoscienza, il motore originario, la struttura formale che permette la sintesi fornendo le regole per unificare il mondo, che pensa tramite le categorie. Essa è fuori sia dalla conoscenza sensibile in quanto priva dio contenuti, sia dalla conoscenza intellegibile. 

Anche introducendo la struttura dell’io-penso kant non spiega ancora come le regole fornite da quest’ultimo possano essere utilizzate dall’intelletto per passare dal piano intelegiibile a quello sensibile. Per risolvere tale problema kant affronterà lo schematismo trascendentale.

Schematismo trascendentale.
In che modo le categorie si applicano ai fenomeni?
Se la sensibilità e l’intelletto sono sue facoltà eterogenee quale sarà l’elemento mediatore che permette all’intelletto di applicare i propri concetti a priori alle intuizioni?

Tale elemento mediatore è il tempo. Il passaggio è spiegato così: Se il tempo condiziona gli oggetti, l’intelletto condizionando il tempo, condiziona anche gli oggetti.

All’interno della conoscenza intellegibile la successione spazio temporale non è legittimata, mentre all’interno della conoscenza sensibile è il tempo che la legittima. È il tempo quindi su cui si basa lo schematismo e è il tempo che rende possibile il salto da una tipologia di conoscenza ad un’altra.
Ciò avviene grazie alla facoltà immaginativo produttiva dell’intelletto ovvero la capacità di produrre a priori  le condizioni dell’intuizione sensibile, gli schemi trascendentali riferiti a ciascuna categoria.

Intuitivo=temporale

Gli schemi trascendentali sono la prefigurazioni intuitiva delle categorie, ovvero le regole attraverso le quali l’intelletto condiziona il tempo in conformità ai propri concetti a priori. Sono schemi perche interamente dati dalla ragione, sono trascendentali perche spiegano e legittimano l’accesso dell’intelletto al materiale sensibile.

Il vizio di fondo dello schematismo è che pur affermando che l’uomo è in grado di conoscere solo i fenomeni di cui possiamo fare esperienza e non quindi i noumeni di cui viceversa non possiamo fare esperienza tuttavia il mondo conoscibile dei fenomeni resta finito, limitato e necessario. La scienza che esplora un mondo finito sarà anch’essa finita. Kant di conseguenza non uscirà dal modello galileiano della ragione. Inoltre kant dirà che l’inteletto opera all’interno di un protocollo che prevede categorie ma si fonda su 4 principi fondamentali (categorie kantiano- categorie aristoteliche). Tale protocollo prevede che i fenomeni si ripetano sempre uguali secondo appunto leggi determinate. Sarà clausius che nell’ottocento comincerà a parlare per primo a parlare di entropia e di univocità dei fenomeni.

Dialettica trascendentale
Nella dialettica kant affronta il problema della matafisica, ovvero se essa si possa considerare o meno una scienza. Per dialettica kant intende l’analisi e lo smascheramento dei ragionamenti fallaci della metafisica. Quest’ultima è un’esigenza naturale e inevitabile della mente umana di cui la filosofia tende a chiarire la genesi profonda.

La ragione viene nella dialettica considerata nei suoi due diversi piani. Da un lato essa è intelletto che conosce i propri oggetti attraverso l’attività della sussunzione. Da un altro è in grado di pensare gli oggetti non esperibili per via sintetica.
 In riferimento a tali oggetti secondo kant le idee, gli oggetti necessari della ragione sono 3: anima-psicologia, mondo- cosmologia, dio-teologia. Le idee sono espressioni diverse, ma conesse di quell’unica tendenza all’incondizionato, all’assoluto che è propria della ragione. L’errore della metafisica è quello di considerare tali idee piene di contenuto, la metafisica dimentica applicandosi a quest’ultime che non abbiamo mai a che fare con la cosa in se, ma solo con la realtà non oltrepassabile del fenomeno.
CRITICA ALLA PSICOLOGIA RAZIONALE
Kant ritiene che quando attraverso la ragione l’uomo s’interroga intorno all’idea di anima egli rischia di cadere, anzi cade, in dei paralogismi, ovvero ragionamenti errati.
ciò è spiegato dal fatto che, secondo il kantismo, noi non possiamo conoscere l’io qual è in se stesso, ovvero l’io noumenico, ma solo l’io quale appare a noi stessi tramite le forme a priori, ovvero l’io fenomenico. Quando ci interroghiamo sull’anima, quando cerchiamo di applicare la categoria di sostanza all’io penso, trasformandolo in una realtà permanente chiamata appunto anima, inevitabilmente siamo costretti a fare un salto spostandoci illegittimamente dalla realtà empirica e quella sostanziale. L’io esisto come realtà pensante, io penso è privo di qualsiasi valore gnoseologico, ed è definito in un preciso tempo e in un preciso spazio. L’impossibilità di concepire l’io penso come sostanza legittimabile ci riporta al già noto problema del dualismo cartesiano mente corpo, al diallele, al ragionamento tautologico che prevedeva la dimostrazione dell’oggetto tramite l’oggetto stesso. Mnetre Cartesio aveva posto dio come garante della res cogitans e della exstenza, kant ribadisce che l’io penso altro non è se non una semplice unità formale a cui non si può applicare nessuna categoria. 
CRITICA ALLA COSMOLOGIA RAZIONALE
Secondo kant l’idea di mondo intesa come totalità dei fenomeni è illegittima quando essa diventa oggetto di conoscenza. l’idea di mondo trascende necessariamente dall’esperienza quindi essa risulta essere illeggittimata, quando infatti ci applichiamo a conoscerla giungiamo a delle antinomie dal greco anti = contro nomos= leggi, contrasto di leggi. Le antinomie si concretizzano in coppie  di affermazioni opposte, dove l’una, la tesi, nega l’altra, l’antitesi, e per il soggetto è impossibile stabilire quale delle due sia l’affermazione sicuramente vera, o sicuramente falsa. Kant individuerà 4 antinomie. Le prime due dette matematiche perche interessano il cosmo per ciò che concerne le categorie di qualità e quantità, i primi due principi dell’intelletto puro. Le altre due sono dette dinamiche perche concernano il cosmo per ciò che riguarda le categorie di relazione e modalità, gli ultimi due orincipi dell’intelletto puro e implicano un movimento logico di risalita dal condizionato all’incondizionato.
CRITICA ALLA TEOLOGIA RAZIONALE
Kant confuterà nella teologia razionale l’argomento ontologico di sant’anselmo, la prova cosmologica di san tommaso e la prova fisica teologica tradizionale  arrivando a dimostrare l’impossibilità di dimostrare dio. Vale la pena di ricordare che in sede teorica kant non è un ateo, piuttosto un agnostico in quanto ritiene che la ragione umana né l’esistenza di dio ne la sua non esitenza.
La prova ontologica
Essa consisteva nella pretesa di ricavare l’esistenza di dio dal semplice fatto ceh dio è essere perfettissimo, affermando che egli appunto in quanto atle non può mancare dell’attributo dell’esistenza. Kant controbatte affermando che non si può saltare cosi illegittimamente dal piano della possibilità logica a quello della verità ontologica, in quanto l’esistenza è qualcosa che possiamo constatare solo per via empirica e non per via puramente intellettiva. L’esistenza quindi non è predicato, ma un qualcosa, un fatto esistenziale asseribile solo mediante l’esperienza.
 Nella pura kant scriverà che per conoscere l’esitenza dell’oggetto indipendentemente da quale sia la sua estenzione o il suo contenuto occorre uscire dall’oggetto stesso.
La prova cosmologica
Il fulcro delle vie tomistiche gioca sulla distinzione fra contingente e necessario affermando che se qualcosa esiste deve esistere anche un essere assolutamente necessario che ne garantisca l’esistenza. Kant di questa posizione mette in luce l’uso illegittimo del concetto di causa per cui risulta erroneo, impossibile partendo dall’esperienza degli enti etero causati (contingenti) giungere ad un anello incausato quale è il necessario. Per kant il principio di causa ha si un ruolo fondamentale in quanto è la regola attraverso cui connettiamo i fenomeni fra di loro, ma esso principio non può collegare gli stessi fenomeni a qualcosa di trans fenomenico.   
Prova fisico teologica
Essa fa leva sull’ordine, sulla finalità, sulla bellezza del mondo per innalzarsi a una mente ordinatrice identifica con il dio creatore, perfetto, infinito, il dio archittetto che regola il mondo, dio creatore che crea il mondo. Nel momento in cui si perviene all’equazione dio=causa, kant ci condice nuovamente alla prova cosmoogica, la quale a sua volta ricade nella ontologica.

La critica alla ragion pratica

PRATICA-PURA
La critica alla ragion pratica analizza la consapevolezza insita in ogni uomo, della morale come dovere. Tale consapevolezza  originaria e universale non rientra negli schemi della causalità deterministica studiata dalla critica alla ragion pura. Il dovere implica una volontà libera e di conseguenza risulta essere irriducibile alla rigide leggi dei fenomeni naturali. Se infatti da un lato con la critica alla ragion pura si ci è trova ancorati ad una visione finita e necessaria del mondo con la critica alla ragion pratica all’intelletto subentra la ragione infinita in grado di pensare la libertà.
RAGIONE EMPIRICA PRATICA-RAGIONE PURA PRATICA
Kant scrive di una ragione pura pratica, che opera indipendentemente dalla sensibilità e dall’esperienza e di una ragione empirica pratica che opera sulla base dell’esperienza e della sensibilità. Tuttavia in sede morale la critica non deve riguardare la ragione pura pratica ( tale ragione essendo pura opera legittimante a priori e contenendo essa stessa la regola per la critica di tutto il suo uso non ha bisogno di essere criticata). La critica in ambito etico al contrario deve riguardare la ragione empirica pratica, o meglio la pretesa propria di quest’ultima di determinare la volontà e l’azione morale con il solo ausilio della sensibilità.
SENSIBILITA’-RAGIONE
Per kant la morale è ab-soluta cioè sciolta dai condizionamenti istintuali, non nel senso che possa prescinderne, ma perché è in grado di de-condizionarsi rispetto ad essa. La morale quindi risulta essere un dipolo fra ragione e sensibilità. Se fosse solo sensibilità essa non esisterebbe perché ogni individuo agirebbe sempre per istinto, se fosse solo ragione la morale perderebbe ugualmente di senso perche in tal modo si negherebbe la naturale tensione dell’uomo verso il male, si negherebbe in altre parole la lotta, su cui si fonda l’azione morale fra ragione ed impulsi egoistici. 
LEGGE MORALE
Il motivo che sta alla base della critica alla ragion pratica è la persuasione che esista, scolpita nell’uomo una legge morale a priori (essa non si propone attraverso contenuti) valida per tutti e per sempre, una legge etica assoluta, incondizionata che il filosofo non ha il compito di dedurre ma semplicemente di constatare e che si differenzia dalla legge naturale (che non può non attuarsi) in quanto include la possibilità che non si verifichino le condizione per cui essa legge esista. È proprio partendo dall’assolutezza e dall’incondizionatezza della legge morale che kant arriva a determinare due concetti di fondo strettamente connessi fra loro. La libertà dell’agire e la validità universale e necessaria della legge. Da ciò l’equazione fulcro di tutta l’analisi etica. Moralità=incondizionatezza=libertà=universalità e necessità.
La libertà non si può assumere come un termine assoluto. Essa dipende dalla società, dalla soggettività ecc le condizioni etiche cambiano con il passare del tempo. Kant vuole individuare le condizioni entro le quali l’azione morale si realizza sempre e indipendentemente da un contesto relativistico. Il dovere rappresenta proprio la necessità dell’azione morale rispetto alla legge morale a priori, il dovere è il collante fra il piano relativo della volontà e quello assoluto della ragione.

Kant distingue i principi pratici che regolano la nostra volontà in massime e imperativi. La massima è una prescrizione di valore soggettivo, valida cioè esclusivamente per l’individuo che la determina, un imperativo è una prescrizione di valore oggettivo, ossia valida per chiunque. Gli imperativi possono essere ipotetici (se condizionati e variabili orientati ad un determinato fine secondo la formula “se…. Devi”) o categorici (se universali e necessari secondo la formula “devi” ossia a prescindere la qualsiasi scopo, il dovere per il dovere). Risulta evidente che solo l’imperativo categorico risponde all’aesigenza di kant di uscire dal relativismo della volontà, solo l’imperativo categorico ha quindi i connotati della legge morale con carattere esclusivamente formale. (formale in quanto non ci dive che cosa dobbiamo fare, ma come lo dobbiamo fare L’imperativo categorico si concretizza nelle sue tre formule.
1.                         agisci secondo una massima che può valere per tutti
2.                         rispetta la dignità umana che è in te e negli altri
3.                         fa si che la tua volontà possa istituire legislazione universale
la categoricità è per kant il punto centrale della moralità. L’imperativo morale non potrà mai pervenire da alcuna autorità esterna all’uomo perché in tal caso esso varrebbe soltanto per gli individui disposti ad accettare e perderebbe quindi il suo carattere universale. (il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me = autonomia della morale). L’uomo che decide, in obbedienza alla legge morale di compiere una determinata azione, per quanto la sua decisione possa venir spiegata naturalisticamente per mezzo di cause psicologiche, egli risponde ad una spontaneità che agisce dal profondo del suo essere. Kant su qst punto ritorna al dualismo sensibile intellegibile. In quanto appartenente al mondo sensibile l’uomo è sottoposto alla concatenazione causale, in quanto appartenente al mondo noumenico l’uomo è essenzialmente libero. Siamo ora in grado di introdurre e spiegare il concetto di sommo bene e postulati della ragion pratica che ne deriavno.
L’espressione sommo bene può avere per kant due sensi diversi:
quello di bene piu alto e quello di bene piu completo.
Il bene piu alto consiste nella legge morale. Il bene più completo supera la legge morale, comprende qualcosa di più e cioè la virtù come condizione prima e la felicità come conseguenza necessaria. Le condizioni per realizzarlo sono sostanzialmente due.
1.                       la continuazione all’infinito dell’esistenza umana, cioè l’immortalità umana condizione necessarie e sufficiente attraverso la quale un individuo raggiunga la santità.
2.                       la perfetta proporzionalità fra virtù e felicità noché l’esistenza di un essere divino capace di garantire tale armonia universale.
L’esisgenza del sommo bene e l’esperienza della libertà conducono l’uomo a formulare alcune affermazioni che kant chiama postulati della ragione pratica. In analogia alle idee rella ragione pure anche i postulati sono tre: il postulato dell’anima, il postulato della libertà e il postulato di dio. Se il postulato dell’anima e di dio servono a kant per risolvere l’antinomia virtù felicità, il postulato della libertà, intesa come condizione stessa dell’etica serve per legare il piano della soggettività e quello della necessità della legge morale. Kant afferma. Se c’è la morale, deve essereci per forza la libertà, devi, dunque puoi.

La teoria dei postulati permette di comprendere il primato della ragion pratica che consiste nella prevalenza dell’interesse pratico su quello teoretico e nel fatto che la ragione ammette, in quanto pratica, proposizioni che non potrebbe ammettere nel suo uso teoretico. Attraverso la pratica l’uomo raggiunge l’infinito attraverso quelle idee che la scienza non potrà mai avvalorare.
L’importanza dell’etica di kant è sopra tutto dovuta al mirabile rigore con cui egli ha posto in luce l’assoluta autonomia della morale di fronte alla teoria della conoscenza e alla religione. Quanto all’interpretazione dell’imperativo categorico come rivelazione di una relatà sovra empirica (il mondo della libertà) è chiaro che esso possiede un preciso carattere platonico, anzi può essere considerata come una delle piu raffinate forme moderne di platonismo etico. Come tale essa è stata ed è energicamente combattuta da tutti i sostenitori di un’etica legata al mondo dell’esperienza e alla storia.

La critica del giudizio

La critica del giudizio mira a superare il dualismo fra il mondo della necessità teorizzato dalla prima critica alla ragion pura e il mondo della libertà affermato della critica alla ragion pratica. Se nella prima critica, criticare significava conoscere, e nella seconda criticare indicava il pensare, nella critica del giudizio kant identifica il pensare con il giudicare.

Egli identifica due tipologie di giudizio: il primo, il giudizio determinante (analizzato nella pura) è proprio dell’attività conoscitiva entro la quale esercita la funzione di sottoporre il molteplice, offerto dall’intuizione, alle categorie dell’intelletto. Il secondo, il giudizio riflettente o sentimentale (trattato dalla critica del giudizio) prescinde dalla realtà empirico fenomenica ed opera dentro soggettività trascendentale limitandosi a riflettere su di una natura già costruita mediante i g determinanti. Esso esprime l’esigenza tipica dell’essere umano finito di una connessione fra sentimento e finitudine, un accordo fra sensibile e razionale, e  non ha valore conoscitivo.

Il sentimento è la facoltà completamente autonoma, intermedia fra intelletto e ragione, a cui kant affida appunto il compito di stabilire le condizioni attraverso le quali l’uomo è in grado di fare esperienza di quella finalità del reale che la prima critica escludeva sul piano fenomenico e che la seconda postulava a livello noumenico.  

Giudizio teleologico e giudizio estetico sono due forme di giudizio riflettente: il primo ci permettere di cogliere la finalità oggettiva della natura, il secondo è il fondamento del sentimento del bello e del sentimento dl sublime.

L’uomo percepisce il bello quando l’oggetto sensibile su cui egli riflette si percepisce in accordo alla sua esigenza di libertà. Diversamente dal piacere, collegato alla reale esistenza dell’oggetto che piace, il sentimento suscitato dalla bellezza prescinde nella maniera piu completa dalla realtà. Risulta in modo analogo indipendente da ogni considerazione di utilità e di moralità. Esso dipende solo dall’immaginazione che noi ci costruiamo dell’oggetto bello. Kant perciò conclude definendo il sentimento della bellezza puro e disinteressato. Eppure il sentimento estetico è qualcosa di universale e necessario. La sua universalità è connessa alla capacità, che va presupposta ad ogni uomo di porsi in una disposizione sentimentale pura e disinteressata per cui la stessa contemplazione degli oggetti belli è secondo kant in grado di educare il gusto estetico e di portare l’uomo al riconoscimento necessario della loro bellezza.
Secondo kant non è bello ciò che piace ma ciò che piace nel giudizio di gusto. Il filosofo chiarisce la sua posizione offrendo 4 definizioni della bellezza secondo la tavola delle categorie. Avremo quindi una bellezza secondo la qualità per cui il bello è l’oggetto di un piacere disinteressato, secondo quantità dove il bello è inteso come ciò che piace universalmente, poi secondo la relazione ovvero il bello secondo la finalità dell’oggetto di cui si vuole riconoscere la bellezza ed infine la bella secondo modalità che vede il bello come ciò che è riconosciuto come oggetto di un piacere necessario.

Dopo aver trattato del bello kant passa all’analisi del sublime, ovvero quel valore estetico prodotto dalla percezione di qualcosa di smisurato e incommensurabile. Kant parla di due tipi di sublime, quello matematico e quello dinamico. Il sublime matematico nasce in presenza di qualcoa di smisuratamente grande, quello dinamico nasce in presenza di strapotenti forze naturali. Entrambe le tipologie risultano essere caratterizzate dalla stessa dialettica di piacere dispiacere, impotenza potenza secondo cui l’uomo trovandosi davanti qualcosa di estremo, tendente a quella sfera dell’infinito di cui non riesce a comprendere l’essenza, in un primo momento si sente schiacciato dal peso della sua piccolezza di fronde alla titanica natura, in uyn secondo momento in virtù dell’immaginazione la nostra ragione è portata  a elevarsi all’idea di infinito superando l’enormità di qualsiasi realtà sensibile per la nozione del vero sublime che non sta tanto nella realtà quando nella nostra natura umana.



Il giudizio teleologico ci svela direttamente la finalità oggettiva. Basandosi sul sentimento esso ci fa cogliere , entro il flusso delle cose, della storia, della vita, la presenza di un fine che sfuggiva al semplice intelletto. Kant ci spinge pertanto verso una concezione finalistica della natura, che si aggiunge a quella meccanicistica e la integra. La presenza di un fine nella natura ci porta a poco a poco a intravedere nella natura l’espressione di una volontà comune a tutti gli uomini identica alla volontà morale di ciascun individuo: il trionfo del bene. Cosi il mondo della natura e quello della libertà non appaiono più come due mondi antitetici, ma come una sola e medesima realtà. Con questa titanica architettura si conclude il complesso sistema della filosofia kantiana.   



DAL KANTISMO ALL'IDEALISMO







IDEALISMO


La massima incarnazione del romanticismo filosofico è l’idealismo che infrangendo i limiti della conoscenza posti da Kant inaugura una nuova metafisica dell’infinito.
 La parola “idealismo” presenta una varietà di significati:
  1. Nel linguaggio comune idealista è colui che essendo attratto da certuni valori, etici religiosi, politici ecc sacrifica tutta la sua vita per essi (ES Mazzini era un’idealista)
  2. In filosofia si parla per la prima volta d’idealismo nel 600 con riferimento a quelle visioni del mondo come il platonismo o il cristianesimo che privilegiano la dimensione ideale a quella materiale. (visione limitata)
  3. Nel 700 il termine è evoluto nuovamente per assumere infine i caratteri di un idealismo gnoseologico prima e un idealismo romantico o assoluto poi.
    • IDEALISMO GNOSEOLOGICO = racchiude tutte quelle filosofie che riconducono l’oggetto della conoscenza all’idea o alla rappresentazione. (Secondo questa tesi cadono dentro idealismo gnoseologico e Cartesio e Kant….)
    • IDEALISMO ROMANTICO = corrisponde alla filosofia postkantiana. I max rappresentanti sono Fiche e Schelling i quali definirono l’io:
a)     Trascendentale= riferimento io penso kant come principio fondamentale della conoscenza
b)     Soggettivo= vs spinosa che aveva ridotto la realtà a un unico principio la sostanza assolutamente oggettiva
c)      Assoluto= infatti l’io=allo spirito che è principio unico di tutto perché fuori da esso non vi è nulla.

FICHTE
Filosofo tedesco del 19 secolo, considerato l’iniziatore dell’idealismo romantico.
Vita famiglia povera, formazione kantiana, professore a jena presto è costretto a lasciare la cattedra a causa della polemica sull’ateismo, da jena a Berlino dove incontra schelling, discorsi alla nazione tedesca.

Personalità= dalla forte esigenza azione morale, “piu agisco piu mi sento felice”, alla forte fede religiosa.

Opera, due blocchi = politica (discorsi alla nazione tedesca.)+ teoretica
Teoretica = tre periodi:
  1. periodo kantiano
  2. allontanamento da kant, già dentro idealismo tedesco, perché F si distacca da K?
    •  K vuole costruire una filosofia del finito, F al contrario vuole costruire filosofia dell’infinito
    • F prende le distanze dal binomio kantiano materia-forma, fenomeno-noumeno, che impediva alla scienza di conoscere la totalità della scienza.
    • Dottrina della scienza = opera centrale
  3. ultimo F = missione dell’uomo

k e f, dal criticismo all’idealismo, dall’io finito all’io infinito
k aveva riconosciuto nell’io penso il principio supremo di tutta la conoscenza. Tale principio si autoderminava nella pura interamente a priori e la sua attività immaginativo produttiva era frutto di una spontaneità, legata al soggetto. Io penso alla fine risultava dunque in un certo senso limitato e il suo limine era proprio legato al rapporto con l’intuizione sensibile.

I filosofi successivi a kant (maimon, beck) studiando la pura sottolinearono il problema dell’origine del materiale sensibile, sostenendo che esso non possa derivare interamente dalla cosa in se in quanto essa è esterna rispetto alla coscienza individuale. Se il materiale sensibile fosse interamente fuori dall’io in altre parole si tornerebbe all’insoluto e antico quanto la stessa filosofia problema per dirla alla kantiana sensibile-intellegibile.
Siccome la sfera sensibile per i motivi che ho detto non può essere separata dal soggetto i filosofi post kantiano arrivarono alla conclusione che essa doveva risiede interamente nel soggetto. Essi quindi affidarono all’io l’intero mondo della conoscenza.

Fiche rifacendosi proprio alla posizione teoretica del postkantiano ribadì l’io come principio e formale e sostanziale del conoscere. Poiché inoltre è grazie all’me che perveniamo al contenuto materiale della realtà oggettiva, che è infinito, ne segue che l’io è anch’esso infinito, poiché tutto esiste nell’io e per l’io



Kant                   
Io =finito perche limitato dalla cosa in se 
Io =principio formale del sapere     
Deduzione=trascendentale volta a giustificare la validità delle condizioni soggettive della conoscenza
Deduzione= si basa sulla trascendentalità del soggetto per risolvere rapporto fra io e oggetto fenomenico.

FICHE 


 sapere


       

Io =infinito perche tutto esiste nell’io e per l’io
Io =principio formale e materiale del sapere     
Deduzione=assoluta o metafisica perche defe far derivare dall’io sia il soggetto che l’oggetto del conoscere
 Deduzione= si basa su un principio assoluto che pone, crea il soggetto e l’oggetto fenomenici in virtù di un’attività creatrice , cioè di un’intuizione intellettuale., essa è in ciascuno di noi sebbene raggiunga piena coscienza di se solo nel filosofo.







La dottrina del sapere ha lo scopo di dedurre tramite l’intuizione intellettuale su cui si poggia l’io l’intero mondo del sapere. Fiche vuole costruire un sistema x cui la filo cessando di essere semplice ricerca del sapere divenga essa stessa sapere assoluto e perfetto. Il principio primo su cui si fonda ogni scienza è per f lo io inteso autocoscienza. Esso si raggiunge attraverso i tre momenti della deduzione fichtiana:
  1. Io pone se stesso e riflette sul principio d’identità. Esso non è tuttavia da considerarsi il principio primo della scienza perché dipende a sua volta dal vero principio primo che è l’io. Io pone se stesso come attività autocratiche e infinita. Condizione incondizionata di se stesso e della realtà, principio primo del sapere.
  2. Io non il non-io. Il secondo principio non è deducibile dal primo significa che il finito non è deducibile dall’infinito: infatti il non io è il mondo oggettivo, o più in generale ciò che non è contratto praticamente dal soggetto (impulsi egoistici).
  3. sintesi degli opposti l’io oppone nell’io a un io divisibile un non-io divisibile. Attraverso il terzo principio perveniamo a una visione concreta del mondo. La natura non è realtà autonoma che precede l’io, bensì qualcosa che esiste come momento dialettico della vita dell’io e quindi per l’io e nell’io.






Schopenhauer


Allievo di Fiche, di formazione matematica filo di Schopenhauer è intermediaria fra il soggettivismo assoluto di Fiche e il razionalismo assoluto di Hegel entrambe visioni filosofiche erano base sullo stesso principio di infinità. Schopenhauer s’impegna  a mantenere il carattere di oggettività di tale principio pur applicandolo al mondo della natura e dell’arte. Schopenhauer vuole unire le due infinità nel concetto di un assoluto non riducibile né a oggetto né a soggetto ma che al contrario sia l’uno e l’altro contemporaneamente, che sia l’unità, l’identità, o l’indifferenza di entrambi. Mentre per fi la natura era solo teatro dell’azione morale e da un punto di vista religio addirittura puro nulla, per Schopenhauer essa ha vita, razionalità. Deve essere regolata e spiegata da un principio autonomo, lo stesso che spiega il mondo della ragione e della storia: l’assoluto. Schopenhauer nella sua filo della natura mostrerà come la natura si risolve nello spirito. Nella filo trascendentale mostra come lo spirito si risolve nella natura. Perché non c’è natura che sia pura soggettività e non c’è spirito che sia pura oggettività. Alla base della filo della natura vi è il rifiuto dei due tradizionali modelli esplicativi della natura (meccanicistico, finalistico, finalistico tradizionale) a queste visioni s oppone il suo modello dell’organicismo finalistico immanentistico. La natura che organismo che organizza se stessa si manifesta secondo una finalità superiore. Il movimento verso il fine è retto dall’opposizione di forze opposte.

I principi su cui si fonda invece e l’idealismo è l’autocoscienza, conoscenza o sapere che l’io hegeliano da se stesso. L’autocreazione di Schopenhauer ha la stessa forma di intuizione intellettuale, attività autocratice di fiche risalente a F è anche la sua struttura dialettica. Il passaggio dall’io dall’autocoscienza è spiegato mediante le 3 epoche dell’io: 1 sensazione, intuizione produttiva in cui l’io si riconosce e prende coscienza della propria attività 2 dall’intuizione produttiva alla riflessione io si eleva a intelligenza di sé 3 dalla riflessione alla volta= io astraendo dagli oggetti si pone come volontà.
    

HEGEL






L’eredità kantiana trova il suo superamento nella filosofia hegeliana,filosofia che sulla categoria del superamento individua il nucleo centrale del processo storico in tutte le sue forme(quindi anche filosofico). Se l’illuminista Kant era stato il fondatore della filosofia del limite,il criticismo,il maggiore fra gli idealisti,forte dello spirito del suo tempo,costruisce un complesso sistema attorno a un assunto totalmente opposto:la risoluzione del finito nell’infinito,ovvero il finito visto come manifestazione dell’infinito;esso si identifica con l’assoluto,spirito che si realizza nel divenire del mondo. L’estrinsecarsi dell’assoluto nella realtà è alla base del noto aforisma,fondamentale nella comprensione dell’hegelismo:”Tutto ciò che è razionale è reale,tutto ciò che è reale è razionale”.
L'Assoluto, per Hegel, è fondamentalmente divenire. La legge che regola tale divenire - e cioè la legge dell'Assoluto - è la dialettica. La dialettica si presenta contemporaneamente come legge ontologica,ovvero costitutiva delle cose e legge gnoseologica,atta alla comprensione del mondo in cui viviamo.Il processo dialettico diviso in tre momenti(idealistici non cronologici)si configura come una riaffermazione potenziata di quanto affermato nel primo momento attraverso la negazione intermedia del momento dialettico. Il metodo dialettico,una delle rivoluzioni più significative del pensiero hegeliano,sostituendo alla logica del giustappore quella del comporre e all’aristotelico principio di non contraddizione quello di contraddizione(arrivando a una riformulazione del principio di identità) non è che l’espressione di quella forma di ottimismo metafisico che trova il suo culmine nel momento dialettico per eccellenza:il momento negativo razionale e l’attuarsi dell’Aufhebung. Il termine tecnico di evidenzia l'idea di un superamento che è sia un "togliere", in quanto appunto qualcosa viene negato, sia un "conservare", dato che Hegel intende la sintesi come mediazione, come unità del contraddittorio. Ogni sintesi ottenuta poi rappresenta a sua volta un nuovo punto di partenza: la tesi a cui si contrappone un'altra antitesi, da cui si svolge un'ulteriore sintesi e così via. La dialettica arriva così ad esprimere un processo che porta a raggiungere l'obiettivo di Hegel, ovvero la riunificazione del molteplice in una totalità sistematica.



La dialettica è da Hegel applicata in due opere fondamentali:la Fenomenologia dello Spirito e L’Enciclopedia delle scienze filosofiche:la prima esprime il principio della risoluzione del finito nell’infinito indicando la via percorsa dalla coscienza per giungere a questo la secondo analizza le manifestazioni dell’assoluto nelle più importanti determinazioni della realtà.


Seguendo ciò che scrive Hegel nella “Fenomenologia dello Spirito” il compito della filosofia è realizzarsi come assunzione dell’esperienza vivente e immediata nel processo di una riflessione rigorosa,la quale ripete i momenti stessi della storia per giungere alla comprensione di sé.


La Fenomenologia,cominciamento della scienza e iniziazione alla filosofia (e pertanto opera pedagogica),descrive tale processo dalla sua forma più elementare,la certezza sensibile e quindi la sensazione,fino al sapere assoluto,cioè lo spirito che si risolve come soggetto nel superamento delle scissioni che rende possibile la scienza speculativa.            


Attraverso le tre sezioni delle fenomenologia la coscienza,prima semplice certezza sensibile di un generico questo,assume su di sé l’affermata unità dell’oggetto diventando percezione per poi ancora mutarsi in intelletto che riconosce nell’oggetto nient’altro che un fenomeno interamente interno alla coscienza,che a questo punto è già autocoscienza. Si passa così al momento chiave dell’intera opera:spostatasi l’attenzione dall’ oggetto verso il soggetto occorre legittimare la verità stessa dell’autocoscienza in quanto risultato mediato attraverso l’analisi di particolari figure tra cui fondamentale,la coscienza infelice,punto di soluzione per la risoluzione di finito-infinito. A questo punto il processo dialettico è arrivato al suo termine,l’autocoscienza è già ragione consapevole di essere il sapere-assoluto che è.  La sostanzializzazione della realtà e l’identificazione soggetto-assoluto concepito non come sostanza statica ma mediata dal divenire sono i risultati fondamentali della Fenomenologia della quale l’Enciclopedia delle Scienza Filosofiche è la continuazione ideale. Quest’ultima  si divide in 3 parti:la logica,scienza dell’idea in sé e per sé,la filosofia della natura,scienza dell’idea alienata da sé e infine,il momento “più alto” della filosofia hegeliana,la filosofia dello spirito,ovvero la scienza dell’idea che ritorna in sé. Il movimento dialettico che investe l’intera opera macrospicamente è qui evidente. Il dispiegamento dell’assoluto parte qui dalla logica che studia in forma pura quelle medesime strutture concettuali che si trovano nel reale. Dai concetti più poveri e astratti,essere,nulla e divenire il processo dialettico fa sì che l’essere,autoriflessosi e conquistate le proprie determinazioni diventi concetto e si ponga come soggetto. Passando attraverso la filosofia della natura(nella quale il processo dialettico non è però applicato propriamente) l’idea alienandosi da luogo al comparire dello spirito che include la trattazione di spirito oggettivo,soggettivo e assoluto. L’uomo riconosciutosi realtà antropologica e sociale(spirito soggettivo) riesce nello spirito oggettivo a uscire dalle astrattezze di diritto e moralità e a far emergere nell’eticità la perfetta consonanza fra individuo e norme della comunità. I limiti biologici della famiglia e quelli economici della società vengono superati nel momento supremo del comparire dello spirito oggettivo,la reificazione dell’Assoluto stesso:lo stato,lo spirito vivente entro il quale l’individuo realizza pienamente sé stesso. Lo spirito oggettivatosi nella storia ,ritorna infine a sé stesso,conquistandosi come interiorità suprema,principio e fine di tutta la realtà. Esso si fa così assoluto,giungendo alla piena coscienza della propria infinità o assolutezza attraverso arte,religione e filosofia. Quest’ultima rappresenta-nel puro intento giustificazionista hegeliano-la verità assoluta e intera il cui compito è la dimostrazione della razionalità del reale,in un processo ciclico che ha per inizio la filosofia e si conclude con la stessa:essa è il tutto realtà tornata al suo principio e tradotta interamente in auto trasparenza concettuale.


MARX


Il marxismo rappresenta una della componenti intellettuali e politiche più importanti dell’età moderna. Esso si pone al di fuori dei tradizionali comparti delle scienze borghesi essendo contemporaneamente un movimento politico, sociale, filosofico ecc. il pensiero marxista è irriducibile alla sola dimensione economica poiché esso si presenta come un’analisi globale della storia e della società, in grado di investire l’assetto strutturale e sovrastrutturale del sistema capitalistico, l’intera cioè società borghese, scardinata e analizzata nella sue molteplici espressioni.

L’obbiettivo dei marx è quello di riavvicinare, tradurre in atto quell’incontro fra ragione e realtà che hegel aveva solo pensato che il discepolo ora si propone di porre in atto mediante l’edificazione di una nuova società ad opera del proletariato soggetto di un’ultima rivoluzione sociale che porterà alla democrazia comunista.

Il legame di marx con hegel è evidentemente molto forte nonostante siano diversi i punti di distacco sottolineati dallo stesso marx rispetto al misticismo logico hegeliano.
Marx critca hegel:
·        per la sua concezione della storia di stampo immanentistico, provvidenzialistico
·        per il suo idealismo che porta a considerare il concreto come una manifestazione dell’assoluto. Hegel ribadisce marx costruisce il concetto di assoluto partendo dalla materia ma arriva a concludere il suo sistema con l’affermazione che la materia altro non è se non una manifestazione dell’assoluto. La cosceinza per hegel precede l’essenza.
·        Tale costruzione speculativa conduce direttamente a un giustificazionismo retto dal caposaldo tutto ciò che reale….) che se tradotto in tremini politici devinta giustificazionismo politico e dunque secondo marx tendenza alla passiva accettazione di istituzioni politiche che prescindono dalla contestazione sociale.
Al misticismo hegeliamo marx oppone il suo nuovo metodo trasformativo che sua stessa scia di feuerbach si basa sull’esigenza di riconsiderare il rapporto fra sogg e ogg. La coscienza deve succedere all’essenza poiche l’attività attraverso cui si forma la coscienza è materiale. L’uomo è attività pragmatica, prassi.

Il cuore centarle del pensiero marxista è dato dalla critica dell’economo-filosofo alla società moderna e al liberalismo.

Il punto di partenza è l’equivalenza posta da marx fra la categoria della modernità e quella della scissione fra società civile e stato. Mentre nell’antica grecia l’individuo con conosceva la distinzione fra il suo ego pubblico e il suo ego privato, nella società moderna ogni singolo vive una doppia vita: l’una terrena come borghese piegato dal peso dell’egoismo.  L’altra celeste, illusoria, come cittadino guidato dal bene comune.

Non è più lo stato che imbriglia la società civile per innalzarla al bene comune ma la società civile che imbriglia lo stato per abbassarlo a ruolo di semplece strumento di potere per gli interessi particolari della classe sociale più forte.

Come i cristiani s’illudono dell’uguaglianza celeste consapevoli della disuguaglianza terrena alla stesso modo i cittadini s’illudino dell’uguaglianza di fronte lo stato.

Per comprendere fini in fondo le critiche mosse da marx occorre non perdere di vista l’obbiettivo che egli persegui per tutta la vita: la creazione di una nuove società caratterizzata dalla perfetta compenetrazione fra individuo e specie, dove il singolo diventa frammento della demos. Per realizzare il suo progetto marx mette in evidenza l’esigenza di eliminare ogni forma di disuguaglianza sociale, o più specificatamente l’origine di ogni disuguaglianza sociale: la proprietà privata che sta alla base del liberalismo.

L’alienazione esprime la conflittualità interna che caratterizza il sistema borghese fra capitale e lavoro salariato.

Il termine affonda le sue radici nella filosofia tedesca nei nomi di hegel e feuerbach. Hegel la descrive come momento dello spirito che facendosi altro nella natura ritrova se stesso arricchendosi. F parla di alienazione economica per cui l’uomo di fede scindendosi costruisce da sé una figura dominatrice il dio a cui si sottomette autonomamente estraniandosi dal resto del mondo.

Marx condivide l’idea di f dell’alienazione intesa come condizione patologica dell’esistenza, di auto estraniazione ma mentre f la definisce come un fatto di coscienza per marx l’alienazione è un fatto reale, di natura socio-economica e più percisamnte corrisponde alla condizione storica del proletario della società  capitalistica.

L’operario costruisce attraverso il lavoro l’effettualità della vita ma poiché egli non può rispondere direttamente del frutto del proprio lavoro (qst compito spetta al capitalista) nello stesso istante in cui tale frutto è immerso nel mercato l’operario stesso perde il suo weben, la sua essenza. Se a ciò si aggiunge che alla perdita corrisponde una retribuzione in denaro si comprende anche cosa marx intende per mercificazione dell’individuo.

L’operaio è alienato rispetto al prodotto che produce e che gli viene sottratto per poi divenire arma di potere contro di lui, rispetto al lavoro, strumento per fini estranei, rispetto alla propria essenza, rispetto al prossimo.

Il distacco di marx da feuerbach si snoda in tre punto fondamentali:
1.     pur definendolo come il solo che abbia saputo realmente costruire una critica seria all’hegelismo, pur riconoscendogli il merito di aver saputo individuare nel problema del rapporto fra sogg e ogg il cuore della speculazione hegeliana, pur avendo sottolineato la necessita della naturalità dell’uomo egli ne ha perso di vista la storicità, poiché scrive marx l’uomo prima di tutto è figlio della società, è figlio della storia.
2.     m attacca f anche sulla questione dell’alienazione religiosa. F non è stato in grado di individuare le cause ne di trovare le soluzioni né di astrarre il suo pensiero sottoponendolo ad una analisi sociologica. La religione è un prodotto malato di una società malata, è l’uomo alienato, individuo prodotto-sociale che ha bisogno dell’oppio dei popoli per illudersi di poter riconquistare la propria effettualità. La disalienazione religiosa presuppone quella economica e dunque l’abbattimento della società di classe.
3.     m muove una critica al materialismo tradizionale comprendendo il questa categoria anche il pensiero di f il cui limite è secondo l’economo la tendenza al contemplativismo e al teoricismo. L’errore di ogni materialismo è quello di di pensare alla materia o a partire della sua forma concettuale (deduttivismo) oppure a partire dall’intuizione.
Al vecchio materialismo speculativo marx oppone un nuovo materialismo che considera l’uomo innanzi tutto come prassi”

Il materialismo di marx perde dunque il suo significato tradizione per cui non si basa sulla tesi che tutta la materia è la sostanza e la causa di tutte le cose, ma su convincimento che le forze motrici della storia non sono di natura spirituale ma di natura socio-economica.

Ideologia tedesca è l’opera centrale per comprendere il materialismo marxista e se da un lato essa mette in evidenza il legame fra marx e il suo maestro (sia ma che h tentando di cogliere il movimento relae della storia prescindendo dalle ideologie che ne hanno da sempre mascherato la concreta struttuara e le effettive forze motrici), da un altro essa chiarisce il contrasto psto da marx fra ideologia e scienza. L’ideoligia è una falsa rappresentazione della realtà mentre la scienza è la nuova scienza che sposa la folosofia nuovo strumento di analisi e di sintesi dei risultati piu generali ottenuto attraverso l’analisi storica. La nuova scienza considera l’umanità come un’insieme di individui organizzati che lottano per la sopravvivenza. Mentre la storia è lotta di classe, è processo materiale guidato dalla dialettica del bisogno e dell’esigenza.

Attraverso il lavoro dunque si produce l’effettualità della vita. Marx a qst punto distingue fra forze produttive e rapporti di produzione, dunque fra struttura e sovrastruttura, elementi, strumenti quest’ultimi essenziali per interpretare la statica e la dinamica della società.

Il materialismo di marx perde significato tradizionale cioè non si fonda sulla tesi secondo cui la materia è la sostanza e la causa di tutte le cose, ma sul convincimento che le forze motrici della storia non sono di natura spirituale ma di natura socio-economica.

La dialettica della storia
Le forze produttive  e i rapporti di produzione sono uno strumento interpretativo della statica e della dinamica della società. Accade che le forze produttive, in connessione con il progresso tecnico si sviluppano più rapidamente del rapporti di produzione. La conseguenza di questa contraddizione dialelettica fra i due elementi è un periodo di crisi a cui seguirà un’epoca di rivoluzione sociale, poiché nuove forze produttive sono sempre incarnate da u a classe socialòe in ascesa che si scoentra con la vecchia classe dominante legata ad altrettanto vecchi rapporti. di produzione.

Il legame con hegel nell’0ambito della dialettica della storia rusulta qualto mai evidente. Oin entrambe le visioni materialistiche la storia è vista coem un a realtà processuale in atto volta ad un “risulatto finale”. Merx tuttavia pone l’accento  sui motivi di distacco con il maestro: 1
Il soggetto della sua dialettica storica non è lo spirito la la struttura economica
La dialetticità della storia ha un’anima empirica direttamente verificabile quindi nei fatti.

IL MANIFESTO 1848 summa della concezione marxista del mondo, si pone di esporre gli scopu e i metodi dell’azione rivoluzionaria attraverso:
1.     analisi funzione storiaca della borghesia, classe costituzionalmente dinamica che ha il merito di saper in breve tempo rivoluzionare strumenti di produzione e tutto l’insieme dei rapporti sociali, ma anche i demerito di cadere dopo certi intervalli di tempo in periodi di stallo nel quale non è capace di governare le forze infernali da lei stessa invocate nell’estremo tentativo di far progredire le forze produttive.
2.     analisi della storia come lotta di classe
3.     la critica ai socialismi non-scientifici.

IL CAPITALE ha l’obbiettivo di svelare la legge economica del movimento della società moderna tramite lo studio dei meccanismi strutturali della societyà borghese. Non si tratta di un’opera prettamente economica poiché dal mometo che m vede nella sfera economica la chiave di lettura della societò nel suo insieme, esaa è piuttosto una fotografia critica della civiltà capitalistica.

M si differenzia dai grandi teorici dell’economia classica da smith a ricardo soprattutto per il suo metodo storicistico dialettico che tende a studiare il capitalismo come una struttura organica i cui elelmnti risultano strettamente connessi . si parla allora di merce, atomo dell’elemento capitalismo nel suo valore di scambio e nel suo valore d’uso e delta differerenza fra valore e prezzo. Per m la caratteristica del capitalismo è che inesso la produzione non è finalizzata al consumo , ma all’accumulazione di denaro. D2-d1 =plusvalore che si comprende solo se si considera l’operaio come merce umana del capitalista, poiché egli ha la capacità di produrre un valore maggiore di quello che gli è predisposto col salario.
Il plusvalore non coincide tuttavia con il profitto del capitalista. Per comprendere quaesta affermazione occorre considerare la differenza fra capitale costante e capitale variabile. Il saggio del plusvalore è = plusvalore/c variabile, mentre saggio di profitto= plusv/(c variabile + costante).
Il capitalismo è chiaramente un tipo di società retta daalla logica del profitto privato e non dall’interesse collettivo. Il costante tentativo di accrescere il plusvalore conduce periodicamente ad incombere ad una serie di difficoltà e contraddizioni che minano la sopravvivenza. Si pensi alla cicliche cridi da sovrapproduzione e sottoconsumo determinate dalla caduta del saggio di profitto, vero tallone d’achille del capitalismo. Unica soluzione è da parte del capitalista diminuire i salari, determinando l’aggravarsi della scissione fra borghesia e proletariato.


NIETZSCHE
Nella seconda metà dell’800 e nella prima metà del 900 assistiamo a una rivoluzione epistemologica che coincide con la crisi della scienza classica e di taluni dei suoi concetti di fondo (spazio, tempo, causa ecc). una serie di problemi teorici e di risultati sperimentali costringono i ricercatori a interrogarsi  sulle basi della matematica  cha da euclidea a kant era stata interpretata come un sapere perfetto e della fisica che da newton alla critica alla ragion pura era stata posta al riparo di ogni dubbio. Da ciò l’affascinante avventura intellettuale che va sotto il nome di crisi dei fondamenti e che trova le sue manifestazioni emblematiche nella nascita delle geometrie non euclidee e nella teoria della relatività e oltre che nella fisica dei quanti. Anche in filosofia soprattutto con N assistiamo a una crisi delle certezze metafisiche e morali che avevano sorretto il pensieri dell’occidente. Sotto la filosofia del martello dello studioso tedesche cadono and una d una tutte le credenze di cui si era nutrita la tradizione a partire dall’idea di dio e di un ordine razionale del mondo.

Padre dell’irrazionalismo N attraverso un’opera frammentaria e asistematica, pur affrontando una vita tutt’altro che serena, fuori dalle convenzioni e dagli obblighi della società, riuscierà a destrutturale la filosofia occidentale dalle sue radici socratico-platonico-aristoteliche, e contemporaneamente a costruire le fondamenta di una nuova filosofia capace di supportare gli sviluppi di una nuova scienza.

Attorno alla figura di N ruotano alcune importanti questioni storiografiche: a lungo ad esempio sla malattia psichica di N ha rappresentato un argomento usato dalla critica per screditare il pensiero del filosofo. Nel passato si sono distinti due orientamenti di pensiero in particolare, uno che vedeva la malattia come un qualcosa di assolutamente negativo, l’altra opposta che la valorizzava scorgendo in essa una condizione creativa del suo filosofare. nel dibattito più recente due dei più importanti filosofi postmoderni hanno offerto la propria interpretazione, offrendo una soluzione valida al problema. Se da un lato Nicola Abbagnano nel rintracciare le cause della malattia, piuttosto che le conseguenze, attribuisce tali cause proprio all’evolversi del pensiero del filosofo che apre le porte primo fra tutti in maniera concreta all’irrazionale, da un altro Giovanni Vattimo ribadisce la necessita di costruire un protocollo d’analisi testuale per decontestualizzare l’opera di N liberandola in tal modo dall’aggravio della malattia suddetta.

Un’altra questione storiografica riguarda l’associazione di N alla cultura nazifascista. Tale associazione che ha influenzato la lettura del pensiero Nietzschiano fino alla seconda meta del XX secolo è stata agevolata dall’intervento di una serie di fattori esterni a N  fra i quali l’azione di deviazione operata dalla sorella del filosofi, ardente antisemita, che fece del fratello un’icona dell’ideologia nazista facendo leva, su alcuni punti rimasti effettivamente ambigui dell’opera filosofica (etica dei signori, forza originaria dionisiaca ect) ma non certo per una mancanza del filosofo quanto per la caratteristica asimmetria e disarticolazione che caratterizza i suoi scritti e che ne rende difficile l’approccio. Nolte porta avanti la tesi del nazismo come un esperimento nietzschiano dal momento che secondo lui senza alcuni aspetti della filosofia dell’intellettuale tedesco il nazismo non sarebbe divenuto ciò che fu esattamente come senza alcuni aspetti del marxismo il movimento operaio non avrebbe avuto modo di svolgersi nel mondo.
Le interpretazioni antifasciste sono state radicalmente contestate nel dopoguerra, nel corso d un vistosi processo di denazificazione poggiatosi sulla proposta di Vattimo di leggere l’opera del filosofo, decontestualizzandola mediante lo strumento filologico.

Il pensiero di N è caratterizzato da una distruzione programmatica delle certezze del passato. Sarebbe riduttivo tuttavia parlare di una filosofia semplicemente demistificatrice in quanto con N nasce una nuova filosofia finalmente libera dalla catena metafisica e con essa anche un nuovo tipo di umanità quella del superuomo.
La metafisica crolla con la morte di dio annunciata nella gaia scienza attraverso il racconto dell’uomo folle. Dio, simbolo di ogni prospettiva oltremondana, personificazione delle certezze ultime dell’uomo, immagine di un cosmo ordinato e benefico è soltanto una costruzione della nostra mente, ai fini di sopportare la durezza della nostra esistenza.
Ma la morte di dio coincide con l’atto di nascita del super uomo. Solo chi ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e di prendere atto del crollo degli assoluti è ormai maturo secondo N per varcare l’abisso che divide l’uomo da l’oltre uomo. Il super uomo è colui che è in grado di accettare la dimensione tragica e dionisiaca dell’esistenza, di emanciparsi della morale e dal cristianesimo, di porsi come volontà di potenza, di procedere oltre il nichilismo, e dunque oltre lo sgomento del vuoto e del nulla di fronte a una vita che appare priva di senso.

La teoria del super uomo rappresenta la riflessione conclusiva del pensiero di N ma ad essa il filosofo giunse dopo una serie di riflessioni precedenti circa il rapporto fra spirito apollineo e dionisiaco, nonché una innovativa concezione filosofica della storia.

Il rapporto apollineo - dionisiaco è affrontato nella nascita della tragedia. Ad apollo dio dell’ordine, della formalizzazione, dell’astrazione si oppone Dioniso, dio della vita, della molteplicità del divenire, dell’istinto, colui che rappresentata il carattere orgiastico della vita dell’uomo. Da tale coppia di opposti originari si concretizzano tutta una serie di sottocoppie. Forma e caos, finito e e infinito, sogno ed ebrezza, luce e oscurità.

Apo e dio sono i due impulsi che stanno alla base dello spirito e dell’arte greca. L’apollineo si esprime nelle forme limpide ed armoniche della scultura e della poesia epica. Il dionisiaco si esprime nell’esaltazione creatrice della musica. N insiste sul carattere originariamente dionisiaco della sensibilità greca mentre l’apo nasce olo dal tentativo di sublimare il caos nella forma.
In un primo tempo nella gracia presocratica apo e dio convivono separati ed opposti. In un secondo tempo nell’eta della tragedia attica di sofocle e eschilo si armonizzano fra di loro dando origine a capolavori sublimi. Nell’arte successiva l’apo finisce con il prevalere sul dio . tale originario squilibrio si può osservare in arte nella commedia di euripide e in filosofia con la nascita della filo socratica. È l’inizio della decadenza  così come della civiltà ellenica anche di tutta la futura civilta occidentale. Solo attraverso l’arte, ed in particolare la musica,  l’uomo è in grado di ristabilire un equilibro, comprendendo veramente il mondo.

Nel tentativo di costruire una nuova concezione della storia N si schiera apertamente contro lo storicismo e lo storiografismo, sostenendo che l’eccesso di storia indebolisce le potenzialità creatici dell’uomo. Innanzi tutto perché senza una certa dose di incoscienza non c’è felicità. In secondo luogo perché per poter agire efficacemente nel presente occorre saper dimenticare il passato. Tuttavia il fatto che non ci sia felicità e azione senza una componente di §”oblio” non significa che la storia, che si fonda sulla memoria, sia sempre dannosa per la vita. Occorre che sia la storia a stare a servizio della vita e non viceversa. La storia appartiene al vivente secondo tre diversi rapporti, che corrispondono a tre diverse specie di storia:

la storia monumentale è propria di chi guarda al passato per cercarvi modelli e maestri e quindi compote chi è attivo e nustre aspirazioni. Essa ha il difetto di tendere a mitizzare o abellire il passato cancellandone alcune zone d’ombra.

La storia antiquata è propria di guarda al passato con fedeltà e amore, ricostruendo i particolari,  e compete a chi preserva e venere. L’aspetto negativo è che tende a mummificare la vita, a paralizzare l’agire e ostacolare ogni risoluzione per il nuovo.


Infine la storia critica che è propria di chi guarda ala passato come a un peso di cui liberarsi ed è propria di chi sente la necessita di rompere con il passato. Il le sue potenzialità negative riguardano la pretesa di poter recidere il passato con il coltello, dimenticando che noi siamo il risultato di precedenti generazioni e che non è possibile liberarsi totalmente dal nostro condizionamento.





FREUD 

Nell’ambito della rivoluzione epistemologica operata da Nietzsche altrettanto rivoluzionaria appare l’opera di Freud che, al di sotto dei meccanismi superficiali della coscienza, scopre le forze profonde (di natura inconscia e sessuale) che la dirigono, arrivando alla conclusione che, contrariamente a quanto hanno sostenuto i filosofi precedenti, l’io non è affatto “padrone di casa propria”. Da questo punto di vista la psicoanalisi finisce per configurarsi come la quarta grande rivoluzione della cultura occidentale moderna, ovvero come la quarta “umiliazione” al narcisismo universale, dopo quella di Copernico che ha tolto alla terra la sua centralità spaziale, di Darwin che ha mostrato le origini animali della nostra specie, e di Marx che ha scoperto, al di sotto delle motivazioni ideali, quelle economiche.

Freud è il padre della psicoanalisi ed il primo a parlare di inconscio, non nel suo significato tradizionale di matrice hegeliana, non inteso come semplice struttura interiore ma come un qualcosa di plastico, in eterno movimento. Uno dei primi capisaldi della filo di freud consiste appunto nella consapevolezza che l’uomo non smette mai di cambiare, in nessun momento della sua vita, neppure giunto alla vecchia, anche se non c’è dubbio che ciascuna età dell’uomo è caratterizzato da una maggiore o minore predisposizione cosi come al cambiamento anche all’apprendimento. Si pensi a come l’identità sessuale dell’individuo si determini interamente negli anni della pubertà. Freud è anche il primo a parlare in termini di rapporto fra psicoterapeuta e di setting di psicoterapia: al termine della terapia il paziente avrà costruito un rapporto d’amore con lo psicoterapeuta. La psicoterapia consiste in un esercizio continuo di difesa rispetto al disturbo, in un graduale percorso di conoscenza, entro il quale compito dello psicoterapeuta è quello di accompagnare il paziente verso la guarigione, o meglio verso la presa di coscienza del disturbo che corrisponde alla volontà di contenerlo. Non esiste una netta barriera fra sanità e malattia, come dimostrano i numerosi disturbi nevrotici comuni a ciascuno di noi e che riguardano ormai il nostro quotidiano. La comparsa del sintomo, del disturbo, non è da identificarsi con l’apparire della malattia come sostenevano i positivisti, i quali tendevano dunque a far coincidere i due piani, ma nell’analisi freudiana il sintomo è semplice manifestazione, semplice difesa rispetto al disagio. il sintomo è anche da intendersi come un Giano bifronte in quanto esso da una parte assume un’accezione positiva in quanto la manifestazione del sintomo coincide con una precisa volontà di coprire il disagio, ma anche un’accezione negativa se si considera che il processo di guarigione è doloroso, ancor più doloroso se si accompagna all’inconsapevolezza del male.

Il cuore della filosofia freudiana risiede tuttavia nella formulazione delle tre istanze della nostra mente, istanze attraverso cui spiegarene il funzionamento, individuate dal filosofo dopo uno dei casi clinici che segnarono maggiormente la sua carriera, il caso Anna e la sua idrofobia. Dalla scoperta del preconscio, la zona della nostra mente che conserva gli atti di rimessione, Freud arriva a parlare di io, es (inconscio) e super io. L’es, matrice originaria della nostra psiche è la parte del nostro essere attiva, magmatica, pulsionale, mossa da desideri ancestrali, la parte vera, autentica, naturalmente protesa al piacere, puro libido. Il super io è ciò che comunemente si chiama coscienza morale, ovvero l’insieme delle proibizioni che sono state instillate  all’uomo nei primi anni di vita e che poi lo accompagnano sempre anche in forma inconsapevole. Infine l’io è la parte più organizzata della personalità che si trova a deve fare i conti con le esigenze dell’es e le limitazioni del super io servendosi del principio di realtà.

Se con la separazione del piano della malattia con quello del sintomo avevamo sottolineato la presa di posizione freudiana rispetto al positivismo con la teoria della psicosessualità il filosofo sembra inconsapevolmente riavvicinarsi alla filosofia positiva nella sua tendenza a considerare lo sviluppo della sessualità per gradi in maniera ciò deterministica, seguendo un percorso considerato a priori univoco, un corridoio con una sola porta al termine.
Il raggiungimento della maturità sessuale sia per la femmina che per il maschio avviene per tre fasi:
fase orale= 2 anni, riguarda l’esistenza di un bambino che ancestralmente sente il bisogno di appagamento. L’oggetto di desiderio è il seno materno da cui trae piacere, benessere, pienezza. L’uomo ha bisogno di essere pieno sempre, in ogni momento della sua vita, fin dalla nascita.
Fase anale: il bambino che comincia a percepire gli sfinteri fa esperienza della vuotezza dell’essere che segue al riempimento. la fase che vede l’ano come la principale zona erogena è la più lunga, è quella che maggiormente interviene nel processo di costruzione dell’individuo sessualmente determinato. Nella fase anale comincia a svilupparsi nella sua fase terminale nel bambino il complesso edipico che consiste in un attaccamento libidico verso il genitore di sesso opposto.
Fase fallica è la fase più importante perché decide l’orientamento sessuale dell’individuo, e si completa con la separazione dall’universo protettivo familiare. Il distacco dai genitori che caratterizza la fase melanconica prettamente adolescenziale completa la costruzione delle fondamenta dell’io.  L’edificio poggiato su tali originarie fondamenta sarà poi, come premesso, sarà soggetto a continue modificazioni nel corso della vita.

Sogni= appagamento camuffato di un desiderio rimosso in quanto in ogni sogno un desideri istintuale viene presentato come appagato. Il contenuto manifesto dei sogni è nient’altro che la forma travestita, per effetto della censura, in cui si esprimono i desideri latenti.